Il rimpianto rappresenta il sentimento più negativo in assoluto, che attanaglia l'animo umano imbrigliandolo in una spirale di angoscia e disperazione, da cui è arduo tentare di liberarsene. Proprio per evitare che ciò accada, chiunque dovrebbe (e vorrebbe) avere a disposizione un'altra occasione, una chance ulteriore per poter dimostrare il proprio valore in amore, nel lavoro, oppure nello sport. 
Nella vita di Gianluigi Buffon queste tre alternative si fondono assieme, completandosi l'una con l'altra. Gigi Buffon svolge il mestiere di portiere, nello sport più seguito in Italia, nella squadra che ama più di ogni altra cosa al mondo. Ecco perché, lo scorso 11 aprile, allo stadio "Bernabeu" di Madrid, è andato in scena un vero e proprio psicodramma con protagonista il portierone juventino, episodio che avrebbe fatto le fortune di un Sofocle o di un Euripide: rigore dubbio fischiato contro al 93', espulsione di "Moreniana" memoria e conseguente eliminazione ai quarti di Champions League. Ecco, la "coppa dalle grandi orecchie" costituisce il più grande rimpianto nella pluriennale e straordinaria carriera di Buffon, che questa infausta partita non ha fatto altro che acuire, portandolo alla probabile decisione di lasciare il calcio giocato. Questa scelta - siamo sempre nel campo delle opinioni personali - sarebbe deleteria, perché non farebbe altro che aumentare nella leggenda juventina quell'angosciante senso di rimpianto, privando al contempo il calcio italiano di una delle sue imprescindibili fondamenta e figure di spicco sia dentro che fuori dal campo. Qualora Gigi, inopinatamente, dovesse leggere questo articolo, potrebbe effettivamente cambiare idea di fronte all'incredibile storia che sto per raccontarvi. 

Tom Finney - o meglio, Sir Tom Finney, dato che là ci tengono alla forma - fu, senza ombra di dubbio, uno dei più forti calciatori inglesi di sempre, uno che oggi paragoneremmo a Francesco Totti, non tanto per la fama o per il ruolo coperto in campo, quanto piuttosto per il semplice fatto che entrambi hanno servito con orgoglio e abnegazione un unico club. Per un periodo di tempo molto lungo, Finney ha vestito la sola maglia del Preston North End, con cui ha collezionato oltre 400 presenze, alle quali vanno aggiunte - essendo, come detto, uno dei più forti inglesi all time - le 76 apparizioni con la nazionale.

Rileggendo quanto detto, mi accorgo di aver detto una castroneria: Finney non ha giocato solo per il North End, bensì anche per un'altra squadra. Ma, ne converrete, questo errore è voluto, essendo il pilastro che tiene in piedi questo articolo. Nel settembre del 1961, Tom Finney riceve una chiamata che gli cambierà la vita. Dall'altra parte della cornetta c'è l'amico, presidente dei nordirlandesi del Distillery, George Eastham sr, che gli fa una proposta alquanto sorprendente: ritornare a giocare per una sola partita. Finney, infatti, ha appeso gli scarpini al chiodo già da tre anni, e, almeno inizialmente, non ne vuole sapere di riprendere. Ma Eastham non demorde, potendo contare su una carta vincente presente nel proprio mazzo, ossia quella della Coppa Campioni. Il minusolo Distillery Fc ​- club fondato dal proprietario di una distilleria di Lisburn - ha vinto il campionato nordirlandese precedendo nientemeno che il pluricampione Linfield, meritandosi perciò il palcoscenico della coppa più importante d'Europa, sebbene questa fosse ancora agli inizi della sua storia.
Competizione alla quale Finney e il suo amato Preston non hanno mai partecipato. Il "Preston Plumber" - "l'idraulico di Preston", avendo completato da giovane l'apprendistato sotto la pressione paterna - tentenna, vacilla e, alla fine, accetta di vestire la maglia rigorosamente White (come il Preston, e non può essere un caso) del Distillery, seppur per un solo match. E che partita! Contro il fortissimo Benfica di Eusebio, reduce da due finali consecutive e dalla vittoria dell'edizione precedente. Uno scoglio insuperabile, contro il quale i ragazzi nordirlandesi inevitabilmente sarebbero dovuti andare ad infrangersi. In quella piovosa serata d'inizio autunno, però, in un "Windsor Park" di Belfast gremito all'inverosimile, accadde l'imponderabile. I giocatori portoghesi, fieri e sicuri di sé nelle loro divise rosse, rimangono di stucco di fronte a quell'uomo leggendario di cui avevano così tanto sentito parlare, ma del quale avevano notizie certe di un ritiro dal mondo del calcio. Si sbagliavano, e, prima ancora che le "Aquile Rosse" potessero destarsi dallo stupore iniziale, ecco che il Distillery era clamorosamente passato in vantaggio al primo minuto di gioco grazie al gol del difensore John Kennedy. Quel calciatore così celebre, vera leggenda dell'epoca, aveva, con la sua sola presenza in campo, influenzato una partita dall'esito scontato. Il Benfica pareggia con Serafim Pereira, ma i nordirlandesi si riportano in vantaggio prima della chiusura del primo tempo con Kenny Hamilton. Nella ripresa ancora Serafim riequilibra il match, ma è Freddie Ellison a riportare avanti gli underdogs di Lisburn. 
Tom Finney è immarcabile, sforna assist e compie giocate che i suoi compagni nordirlandesi non potevano neppure pensare, annichilendo i campioni d'Europa del Benfica. Ma, proprio ad un passo dal sogno, il Distillery venne gelato dal gol dell'altro grande campione di quella serata, fino a quel momento spettatore non pagante: il leggendario Eusebio, che timbra il 3-3 finale. Il ritorno - come purtroppo avrete capito - fu una debacle per il Distillery, che, senza Finney, venne spazzata via con un eloquente 5-0. 

​​​​​Quell'indimenticabile serata, in cui Tom Finney aveva realizzato il sogno di esordire in Coppa Campioni alla veneranda età di 41 anni, rappresentò il canto del cigno del fuoriclasse inglese, che venne celebrato con una splendida statua eretta nel 2004 all'esterno del Football National Museum di Preston, in cui è rappresentata la celebre foto del 1956 in cui Finney combatteva contro due avversari in uno "Stamford Bridge" completamente allagato (particolare perfetto per immergere la statua in una fontana, da cui il nome "The Splash" dato alla stessa.)

Riallacciandomi alle considerazioni iniziali, sono ora pronto a dare un consiglio a Gianluigi Buffon, che è anche il sugo di tutta la storia: nella vita non è mai troppo tardi per poter realizzare i propri sogni. 

Ripensaci, Gigi.