E' risaputo, si fa presto a tacciare con epiteti non proprio calzanti una persona, anche solo per un errore commesso, seppur di grave entità e amplificato a dismisura dalle riprese televisive.

E' il caso di Patrice Evra, caro al popolo bianconero col soprannome di zio Pat, derivante appunto da quei comportamenti affettuosi e colmi di rispetto che era solito mostrare nei riguardi dei compagni di squadra. La sua carriera, ricca di soddifazioni, è stata caratterizzata dalla gavetta; noti i suoi trascorsi a Monza e Marsala, prima della definitiva consacrazione in quel di Manchester, sponda United.

L'Evra calciatore non si è mai discostato dall'immagine dell'uomo, riflettendone in campo quel fair play e quei modi mai sopra i toni che rispecchiano a pieno il francese. Perennemente col sorriso sulle labbra, mai una parola di troppo, sempre ligio al dovere e all'aiuto del prossimo; il video in cui distribuisce viveri ai clochard di Marsiglia ha fatto il giro del mondo tramite i social.

Ciò che è accaduto a Guimaraes va fermamente condannato, ma non deve in alcun modo andare ad influenzare il giudizio che la gente ha riguardo Evra; il terzino, nonostante le offese ricevute da quel gruppetto di tifosi, avrebbe dovuto tapparsi le orecchie e passar dritto, anzichè sfoderare quel colpo di kung-fu, forse ispirato al connazionale Cantona.

Ma se un solo censurabile gesto è in grado di macchiare irrimediabilmente la reputazione di un uomo, che dovremmo dire allora di Maradona, di Zidane, di Di Canio, di Balotelli, di Cassano e di moltissimi altri? Nessuno è perfetto a questo mondo e nessuno è esente da colpe, ma un attimo di follia non può cancellare quanto di buono fatto in una vita intera.

Adesso Evra si ritroverà a pagare per l'errore commesso: l'UEFA ne ha disposto la squalifica fino a Giugno, mentre il Marsiglia ha diramato il comunicato di fine rapporto col giocatore. Più che gli introiti economici derivati dal suo ingaggio, son certo che a Patrice mancherà per un pò di tempo il calcio in senso assoluto, l'odore del terreno di gioco, il sudore degli allenamenti e quel rapporto speciale coi compagni e lo staff; ovunque egli sia stato ha lasciato il segno, con la sua ironia e con la sua gioia con cui più volte ribadiva fiero di "amare questo gioco".

Quindi, che nessuno si sogni di giudicarlo. Zio Pat sarà stato di sicuro il primo ad accusare se stesso e a non essersi riconosciuto in ciò che ha fatto, ma son certo che, scontata la sua pena,  tornerà con più convinzione a dire "I love this game!"