Manca poco allo scadere.
Entra in campo con una manciata di minuti da disputare, segna due gol, ribalta il risultato ed avvicina la propria squadra ad un sogno chiamato Champions League.
Una forza fisica ed una tenacia che non conoscono limiti, sospinto dall'amore incondizionato della sua città: è solo l'ennesimo atto, quello che è accaduto ieri sera a Torino. Un'altra grande prestazione ne che esalta le capacità, a discapito di risse, battibecchi e di quanto abbiano detto giornalisti e carta stampata in queste settimane.
Perché Francesco Totti, alla fine, ha sempre ragione: puoi chiamarti Fabio Capello, Rudi Garcia o Luciano Spalletti, non fa alcuna differenza. Se qualcuno alla fine deve pagare, paga sempre l'allenatore, non certo il calciatore.
Ognuno ha avuto modo di apprendere la notizia della lite tra l'allenatore ed il numero 10 giallorosso, di conseguenza ha avuto la possibilità di schierarsi dalla parte che ha ritenuto più in linea con il proprio pensiero.
Perciò vale la pena di riportare fatti concreti, non opinabili in quanto realmente accaduti: vista la situazione vissuta da Francesco Totti, relegato in panchina per scelta tecnica del mister - per altro, ricordiamolo, pagato esattamente per svolgere questo ruolo, quale scegliere l' 11 titolare - non solo il capitano ha scelto di usare la via mediatica, sfogandosi con le telecamere Rai, ma ha sferrato un attacco a Spalletti e alla sua gestione del gruppo per un motivo puramente egoistico, individuale, senza preoccuparsi di calpestare la causa collettiva.
In altre parole, Totti ha deliberatamente calpestato un progetto di squadra e della società di fronte ai mass-media con l'unico e specioso pretesto di avere più spazio. Alla soglia dei 40 anni.
Imporsi al di sopra delle regole di un team, dei compagni di squadra e dell'allenatore, pretendendo minuti di fronte ad una freschezza giovanile più calda e dirompente, è un fatto che merita di essere discusso.
Tuttavia, una verità assoluta non c'è, i punti di vista possono essere molti e con varie sfumature.
Se tutta questa storia può essere bollata come una semplice "richiesta di rispetto", per tutto quello che ha dato alla Roma negli anni, può altrettanto essere decifrata come un "delirio di onnipotenza" e "mancanza di rispetto" verso quella stessa società che gli ha pagato lo stipendio per anni, con ritocchi al rialzo.
Essere capitano comporta onori e oneri.
Quella fascia dovrebbe rendere chi la indossa un punto di riferimento, un porto sicuro quando il mare è in tempesta, un esempio da seguire per i compagni e per gli avversari.
Ho visto indossare, in bianconero, la fascia di capitano sul braccio di Vialli, poi di Conte, poi di Del Piero, poi di Buffon.
Ho visto anche Javier Zanetti. Ho visto anche Paolo Maldini.
E da questi calciatori, in campo e fuori, ho visto anche l'eleganza, il rispetto ed un profondo senso d'appartenenza in una collettività, anteponendo gli interessi del gruppo a quelli personali.
Vi dico Le Cose Come Stanno: il silenzio di Del Piero di fronte alle scelte societarie e di Antonio Conte nel suo ultimo anno alla Juventus, ancora oggi mi emoziona.
Il calcio da tergo a Balotelli, lo schiaffo a Colonnese, l'entrata killer su Pirlo, lo sputo a Poulsen e una miriade di altri episodi in cui Totti compare come protagonista in negativo, ancora oggi mi lasciano perplesso.
Cos'è una fascia da capitano se, chi la indossa, si comporta come qualunque testa calda?
Cosa differenzia umanamente un capitano dagli altri calciatori?
Devo dunque pensare che sia sufficiente essere talentuosi e restare in una squadra tutta la carriera, bypassando completamente i valori umani e comportamentali?
Nessuno potrà discutere la forza di Totti in quanto calciatore.
Ma come uomo, come esempio e come capitano, visto l'amore incondizionato della gente a discapito di ogni diatriba, rappresenta l'emblema dell'assurdo. Dove l'estetica esteriore stravince sull' "essere", da un punto di vista interiore.
Che sia verbale o fisica, è una storia in cui vince solo la violenza.
MC
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