La paura ci rende più umani, il non aver paura ti rende disumano e ti illude e l'illusione rischia di essere altamente diabolica. 
Ci vorranno decenni e decenni per demolire il maledetto terrorismo e quello che nascerà dalla sua evoluzione od involuzione.

Lo sport ha un ruolo fondamentale in tutto ciò. Non basta più il canonico minuto di silenzio. E' simbolicamente importante, dura oramai anche meno di un minuto. Serve dell'altro. Quell'altro che il calcio, sport ed attività professionistica più attrattiva d'Europa ed una delle più attrattive del mondo, deve mettere in campo a livello internazionale. Perché i mezzi e le risorse li ha.
D'altronde oramai è noto che gli investitori ed i proprietari di alcune grandissime società provengono proprio da zone territoriali "calde". Ultimamente si dice che è inaccettabile che a livello politico si mantengano rapporti con Paesi che sostengono il terrorismo, che lo finanziano. Quel terrorismo che porta morte ed orrore anche nelle nostre città, quando poi i ricconi di questi Paesi sono i maggiori sponsor o sostenitori del calcio occidentale e che con i loro soldi stanno anche destabilizzando il nostro calcio.
Che fare? Boicottarli? Escluderli a priori? Bandirli dal nostro calcio?
Pur non avendo prove di un legame diretto od indiretto con quel maledetto mondo? Mai generalizzare, ma gli interrogativi sussistono. 

Si deve invece operare perché il calcio, diventi strumento planetario di integrazione contro ogni violenza, contro ogni terrore. Come è ben noto purtroppo sono spesso giovanissimi gli attentatori. Si tratta in tantissimi casi di ragazzi che hanno trovato il modo di diventare qualcuno, di essere qualcuno, o di sfogare tutto il loro odio esistenziale, le loro problematiche esistenziali, che non devono comunque diventare in nessun modo alibi e giustificazioni, proprio attraverso il più terribile dei canali. Quello del terrorismo.

Il calcio deve sapere parlare ai giovani più che agli adulti. Il nostro futuro è nei bambini di oggi. Nei ragazzi di oggi. Il calcio deve entrare nelle periferie, nei luoghi degradati. Deve essere parte sociale attiva nel nostro sistema. Perché ha delle potenzialità immense e mai sfruttate a dovere. Sono rari e spesso relegati a banali spot mediatici per poi finire nel dimenticatoio gli interventi reali e concreti nelle estremità delle nostre città. Il calcio ti deve dare l'opportunità se non di diventare un calciatore famoso, quella di giocare, di solidarizzare, di divertiti, di integrarti.
Nella stessa squadra di calcio avrai persone di religione diversa, persone non credenti, di culture diverse, di orientamento diverso, di nazionalità e continenti diversi. E questa è una cosa meravigliosa
  che per diversi aspetti deve essere rivalutata a dovere. Soprattutto oggi nella lotta al terrorismo. Il calcio ti può dare la possibilità di essere qualcuno all'interno di una squadra che vuole vivere nel nostro mondo, che vuole anche cambiarlo questo mondo, migliorarlo, ma non attraverso la morte, la violenza, le barbarie.
Il calcio deve essere integrazione e cultura. Può sembrare una banalità. Ma non lo è.

Non basta la sola repressione, che deve essere durissima e senza pietà alcuna nei confronti dei terroristi. Ma togliere la carne dalla brace quando ancora è cruda questo è possibile ed il calcio può svolgere un ruolo fondamentale in questa orribile sfida dalla quale non può sfilarsi, perché ci siamo dentro, volendo o non volendo, tutti noi.